Gli investimenti richiedono riforme. Il ruolo delle Scuole Universitarie Superiori
PIÙ FONDI ALLA RICERCA NEL PNRR LA SVOLTA CHE IL PAESE ATTENDEVA
Di Raffaella Rumiati
L'' Italia spende appena lo 0,9% del Pil per il finanziamento pubblico e privato alle università a fronte di una media dell' 1,4%, collocandosi così al terz' ultimo posto nella graduatoria dei Paesi Ocse (dati 2017). La scarsità della spesa comporta varie conseguenze per la ricerca e la formazione terziaria del nostro paese. La prima riguarda il numero dei ricercatori che in Italia è un po' meno della metà rispetto al valore medio dei paesi dell' Ocse, e la seconda il numero di brevetti che, normalizzato in base al Pil, non raggiunge nemmeno la metà della media degli stessi paesi. Il terzo ambito in cui lo scarso investimento comporta un effetto indesiderato riguarda il livello di istruzione: solo il 28% della popolazione tra i 25 e 34 anni è in possesso di un titolo di studio terziario (incluso il dottorato), a fronte del 45% della media Ocse, mentre in Canada, Giappone e Corea del Sud queste percentuali superano il 60% (dati 2019). Ciò nonostante, il sistema della ricerca italiano, nel complesso, è di qualità elevata e non ha nulla da invidiare a quella prodotta nei principali paesi europei quali Francia e Germania, con una produttività scientifica che nell' ultimo decennio è aumentata, probabilmente anche grazie all' introduzione di finanziamenti universitari legati alla performance (per un approfondimento su questo argomento si rimanda alla lettera apparsa su Nature nel 2019 a firma di Paolo Miccoli e mia). A risarcimento della tradizionale esiguità di risorse è in arrivo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che, con la Missione 4, destina 32 miliardi circa a istruzione e ricerca (17%), una decisione in discontinuità con le passate politiche di finanziamento di questo comparto. Le principali azioni rese possibili da questi fondi europei permetteranno di sanare i deficit descritti all' inizio di questo articolo. Essi infatti dovrebbero finalmente consentire di allargare la platea degli studenti universitari, incrementando borse di studio e costruendo alloggi studenteschi per i 'fuori sede'. Permetterà inoltre di potenziare la ricerca curiosity driven e applicata di qualità, grazie anche alla realizzazione di infrastrutture e acquisizione di attrezzature all' avanguardia. Questo capitolo del finanziamento è stato oggetto di un vivace dibattito nella comunità accademica. In particolare, Tito Boeri e Roberto Perotti hanno proposto un sistema che concentri i finanziamenti in alcuni centri, ritenendolo più efficiente per la ricerca. Questa assegnazione corrisponderebbe a una quota premiale, per altro già erogata con il Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) a un dipartimento o ateneo sulla base della qualità della ricerca per mezzo della Valutazione della Qualità della Ricerca ( Vqr), un processo di peer reviewgestito centralmente dall' Anvur. Altri, per esempio Elena Cattaneo o Fabrizio Barca, sono a favore di una distribuzione più diffusa, che non generi nuovi fortini della ricerca ma maggiori scambi tra università, ricerca e territori. Sull' importanza dell' ecosistema della formazione insiste anche Ferruccio Resta, presidente della Crui, ma richiama gli atenei a essere consapevoli del proprio posizionamento territoriale. Questi richiami corrispondono di fatto al ruolo della terza missione, uno dei tre pilastri dell' università, oltre a didattica e ricerca, che viene già parzialmente incentivata con il Ffo a partire dall' esercizio della Vqr ora in corso. Affinché questi investimenti possano effetti-vamente innovare ricerca e università vi sono due ulteriori condizioni che devono verificarsi, come è già stato fatto notare da altri (Gianni Toniolo, 'Il Sole 24 Ore', 27.4.2021). Primo, questi investimenti devono essere accompagnati da una spesa corrente, che non è previsto sia finanziata dal Pnrr, che aumenti progressivamente, sia con la partecipazione di fondi pubblici sia con l' autofinanziamento della ricerca di dipartimenti e atenei. Secondo, è necessario accompagnare gli ingenti investimenti del Pnrr con le adeguate riforme in mancanza delle quali i nostri atenei non potranno sviluppare competitività e crescita. Tra gli interventi di potenziamento dell' offerta formativa previsti dalla Missione 4 del Pnrr, di grande interesse soprattutto per le sei Scuole Universitarie Superiori, è quello che riguarda la formazione dottorale che per la maggior parte di esse è la missione principale. Considerando che il numero di dottorati conseguiti in Italia è tra i più bassi della zona europea, con 1 persona su 1.000 di età tra 25 e 34 anni in possesso di diploma di dottorato, contro una media Ue di 1.4 (Eurostat 2018), la decisione di aumentare di 3.600 unità i dottorati attivando tre cicli a partire dal 2021, di 1.200 borse ciascuna, ci rincuora molto. Il Pnrr prevede ulteriori misure volte alla formazione dottorale realizzata in collaborazione con ambiti extra accademici, dalla Pubblica Amministrazione al Ministero della cultura, alle aziende. Questa riforma non sarà completa se non comporterà anche una valutazione continua ed ex post dei dottorati, basata su indicatori quali pubblicazioni scientifiche (o prodotti assimilabili), riconoscimenti, premi, partecipazione e inviti a convegni e conferenze e infine il placement dei dottori di ricerca stessi.