Un modello unificato di memoria e percezione: come l’apprendimento hebbiano spiega il richiamo degli eventi passati

Fisica e neuroscienze per spiegare come i ricordi vengono conservati nel cervello: la nuova ricerca è pubblicata su Neuron
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Neuron

Una collaborazione tra i gruppi di Fisica e Neuroscienze della SISSA getta una nuova luce su come il cervello immagazzina e richiama i ricordi, unificando decenni di ricerca comportamentale e teorica. Lo studio, guidato dai professori Sebastian Goldt e Mathew E. Diamond e con vede Francesca Schönsberg (ora all’École Normale Supérieure) come prima autrice, è stato appena pubblicato sulla rivista Neuron.

La memoria percettiva, ossia la nostra capacità di estrarre, conservare e utilizzare le informazioni provenienti dal mondo sensoriale,affascina da tempo gli scienziati. Tuttavia, il campo resta frammentato: i ricercatori, infatti, spesso elaborano modelli separati per diversi tipi di compiti. Il team della SISSA ha cercato quindi di colmare queste lacune sviluppando un unico quadro teorico in grado di spiegare diverse forme di memoria percettiva.

L’intuizione chiave della ricerca è arrivata dallo studio dei bias percettivi, cioè distorsioni sistematiche che mostrano come le rappresentazioni interne del cervello si discostino dalla realtà fisica del mondo esterno. Quando una rete neurale mostra le stesse distorsioni osservate nel comportamento, è probabile che catturi un meccanismo fondamentale della memoria percettiva stessa.

La percezione degli stimoli presenti mostra due tendenze opposte: una contrazione verso le esperienze passate e una repulsione da esse. Combinando la modellizzazione computazionale con dati provenienti da esseri umani e roditori, il team della SISSA ha dimostrato che entrambi gli effetti possono emergere naturalmente da un unico meccanismo.

Una rete neurale ricorrente governata dalla plasticità hebbiana (“le cellule che si attivano insieme si connettono tra loro”) ha riprodotto i dati sperimentali in tre paradigmi distinti – memoria di lavoro, memoria di riferimento e un nuovo compito “one-back” – senza alcun adattamento specifico per il singolo compito. Ciò che cambiava non era il meccanismo della memoria, ma il modo in cui veniva letta l’attività della rete, rivelando come un’unica rete di memoria possa supportare in modo flessibile diverse funzioni cognitive.

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